Il Presidente del Fapi Luca Sanlorenzo, appena riconfermato alla guida, fa il punto con Confapi Padova sullo stato di salute del Fondo, che in Veneto conta 36 mila addetti (di cui 13 mila padovani) con un trend in crescita del 16,44%: «La pandemia ha accelerato un processo di rinnovamento che prima era latente, i Fondi saranno chiamati a sostenere la delicatissima fase di riorganizzazione delle imprese sopravvissute alla crisi».
Che il Fapi sia in salute lo testimoniano i numeri. Al 31 dicembre 2021 il fondo interprofessionale di Confapi, Cgil, Cisl, Uil ha registrato a livello nazionale un balzo del +4,7% rispetto all’anno precedente (dopo aver mantenuto dati abbastanza stabili nel corso della crisi pandemica, grazie a decisioni oculate da parte dei suoi amministratori). A livello regionale la crescita del Veneto per lo stesso periodo è stata del 16,44% per gli addetti e del 5,16% per le matricole Inps aziendali su dati lordo. Sono più di 36.500 gli addetti stimati nelle aziende del territorio, ed è proprio la provincia di Padova a fare da capofila in regione con quasi 13 mila. Anche partendo da questi numeri abbiamo fatto il punto sullo stato di salute del Fapi assieme al suo Presidente, Luca Sanlorenzo, cercando di capire in quale direzione si evolveranno le sue proposte nei prossimi anni.
Presidente, innanzitutto complimenti per la recente conferma alla guida del Fapi. Inevitabile partire da una considerazione generale sul mondo in cui vi trovate ad agire, in parte ridisegnato da due anni di pandemia.
«La contrazione del settore industriale e il peso crescente del terziario, le trasformazioni dei processi produttivi, l’evoluzione dei mestieri, la presenza di forti rischi di disoccupazione e molti altri fattori stanno tracciando nuovi scenari e lanciano nuove sfide alle politiche di formazione continua dei lavoratori ed in primis ai Fondi Interprofessionali. In questo quadro, possiamo leggere l’emergenza Covid-19 come un vero e proprio “acceleratore” di un processo di rinnovamento che era latente; un “innesco” di un processo di cambiamento che può mobilitare sforzi e investimenti (finanziari, organizzativi, professionali), innovazioni strategiche e decisioni fondamentali.
Un amplificatore di attenzione che – si spera – sia in grado di traghettare il sistema formativo verso un futuro di opportunità per le imprese per i giovani per gli espulsi o emarginati dal mondo del lavoro».
L’offerta del Fondo è stabilizzata su avvisi generalisti, per aggregati di rete e a sportello: è la risposta più puntuale alle difficoltà che incontrano oggi le aziende?
«La prima cosa che mi viene in mente, come Presidente del Fondo e manager di una Associazione datoriale (Api Torino, ndr), è la necessità di un ruolo sempre più attivo da parte delle imprese e dei sistemi di rappresentanza delle parti sociali per costruire percorsi formativi coerenti con la domanda di competenze del mondo del lavoro. Da questa prospettiva, il futuro della formazione si lega a doppio filo al futuro del lavoro. È una priorità che chiede una visione di lungo termine, non soluzioni semplici di corto respiro e incapaci di rispondere a problemi complessi che già esistevano in era pre-coronavirus e che l’emergenza sanitaria ha solo portato maggiormente alla luce. Bisogna agire velocemente, perché il nostro Paese presenta gravi ritardi nel confronto internazionale: dal ridotto investimento pubblico e privato nel sistema educativo/formativo, alle basse performance scolastiche dei nostri giovani, alle scarse competenze digitali dei lavoratori, all’elevata dispersione scolastica, al ridotto inserimento nel mercato del lavoro. È necessario attribuire all’investimento in formazione e capitale umano una rilevanza strategica analoga agli investimenti di politica industriale per la crescita e lo sviluppo dell’apparato produttivo del nostro Paese. Diventa prioritario, pertanto, rafforzare il sistema di formazione continua nel nostro Paese, valorizzando gli strumenti di finanziamento per creare esperienze concrete di supporto alla formazione e all’impiegabilità dei lavoratori e, di conseguenza, alla competitività delle imprese».
D’altra parte, oggi più che mai le politiche attive del lavoro sono al centro dell’agenda regionale (come ha avuto modo di confermarci recentemente l’assessore Donazzan) e nazionale: cos’è possibile fare per rafforzare la loro incisività?
«In tale prospettiva penso ad alcune linee di intervento. La prima è mirata a valorizzare il principio della co-programmazione degli interventi. Alla luce dei diversi soggetti istituzionali competenti nella definizione delle politiche di formazione continua nel nostro Paese (Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Regioni e novità ANPAL con il Fondo Competenze) e delle diverse linee di finanziamento (FSE, fondi interprofessionali, etc), si rende necessario un raccordo tra le politiche e gli interventi dei fondi interprofessionali e quelli dei soggetti pubblici (in primis le Regioni). Ciò in una logica di co-programmazione in grado di rispondere efficacemente ai fabbisogni di imprese e lavoratori del territorio, con l’obiettivo generale di valorizzare e ottimizzare l’apporto che i fondi interprofessionali e i finanziamenti regionali possono garantire in coerenza con le rispettive finalità e i vincoli istitutivi evitando sovrapposizioni. Non dimentichiamo che il ruolo dei Fondi Interprofessionali riveste sempre un valore non solo in termini di mappatura dei fabbisogni formativi ma anche come indicatori delle evoluzioni del mercato del lavoro, diventando sempre più strumento per le politiche attive del lavoro.
Una seconda linea di intervento è mirata al riconoscimento e alla valorizzazione del ruolo dei Fondi Interprofessionali. In questo contesto, in qualità di Presidente del Fondo, non solo ne richiamo l’importanza come strumento ma sottolineo la necessità di preservarne l’autonomia, affiancando a una razionalizzazione del loro numero anche una capacità gestionale maggiormente tempestiva ed efficace a fronte della domanda. Premesso che il 70% della formazione delle PMI transita dai fondi interprofessionali, un ulteriore indebolimento, con nuovi prelievi da parte del governo, significherebbe soprattutto in questo momento privare il tessuto delle PMI di strumenti indispensabili per supportare interventi formativi che sono un importante tassello di un processo riorganizzativo più ampio».
Fondi interprofessionali e PNRR: è ipotizzabile un loro rafforzamento nell’immediato futuro attraverso le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza?
«In questo momento assume particolare importanza aumentare e rafforzare il ruolo dei fondi interprofessionali: oggi più che mai risultano essere soggetti privilegiati sul territorio nell’intercettare il punto di vista e le esigenze delle imprese e dei lavoratori e riportarle all’interno del sistema delle politiche attive. I Fondi potrebbero essere un valido strumento a supporto del Piano nazionale di ripresa economica orientato alla creazione di posti di lavoro (approvazione bilancio europeo 20201-2027), nel quale si parla anche di incentivazione infragenerazionale, aggiornando le obsolete conoscenze degli adulti in età lavorativa e rafforzando il bagaglio di conoscenze e competenze green e digital delle nuove generazioni attraverso un più rapido incontro tra domanda e offerta di lavoro».
Guardiamo al futuro partendo da una considerazione: i fondi interprofessionali sono stati costituiti circa un quarto di secolo fa in un sistema industriale diverso da quello attuale, così come diverse erano le competenze richieste. Sono uno strumento destinato a restare? E in che modo si potranno evolvere nei prossimi anni?
«Io credo che i Fondi potrebbero essere utilizzati e visti come dei veri e propri strumenti di protezione sociale per coloro che in un periodo come questo rischiano di perdere il posto di lavoro. Ritengo che sarebbe opportuno che fosse riconosciuto loro un ruolo più incisivo e più ampio, che possa andare oltre la formazione dei dipendenti delle imprese aderenti coinvolgendo anche la platea dei disoccupati o chi, appena entrato nel mondo del lavoro, ha la necessità di acquisire nuove competenze specialistiche (il saper fare).
I fondi interprofessionali potrebbero avere un ruolo sempre più determinante nel sostenere oggi quella delicatissima e impegnativa fase di riorganizzazione necessaria per le imprese sopravvissute alla crisi, accompagnandole nei processi di innovazione tecnologici ed organizzativi e supportandole nella transizione all’introduzione di nuove forme di lavoro (ad esempio lo smart work).
Certamente un controllo e una razionalizzazione dei fondi interprofessionali è doverosa ed auspicata anche dal Fondo che rappresento: evitare la proliferazione di soggetti non referenziati da organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentativi garantirebbe una minor dispersione di risorse, a vantaggio di un possibile maggior coordinamento di interventi, pur sempre nel rispetto delle singole vocazioni dei singoli fondi».
Diego Zilio
Ufficio Stampa Confapi Padova